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La vigna e il salice
I primi tepori di fine inverno sollecitano la smania di iniziare i lavori in campagna che troverà debordante stimolo con l'ingrossare delle gemme e lo spuntare dei primi fiori. Le potature segnano sempre il primo approccio dell'anno con le coltivazioni. Inizialmente mi occupo della vigna e come prima cosa preparo i salici per legarla.
Gli ultimi salici che mi sono rimasti sono quelli piantati da mio papà sul nostro mónte sotto i Denti della Vecchia, a ra Còla, lungo un ruscelletto, una rósgia, e in una zona paludosa, ra bóla. I salici attecchiscono molto facilmente, basta infilare un ramo per terra, meglio se in una zona umida. Poi di anno in anno si potano con regolarità. La forza e la generosità di questa pianta è tale che, dove viene capitozzata forma una testa dalla quale, come capelli indemoniati, crescono nell’anno seguente sempre più rami.
Rispetto alla plastica, le legature in salice hanno il vantaggio di non venire inglobate dalla crescita delle piante e quando non servono più, si possono lasciare cadere al suolo. Purtroppo non vengono quasi più usate nemmeno per legare la vigna, soppiantati da modalità più veloci e “razionali”. Spesso sono le persone più anziane che dispongono delle conoscenze per il suo uso, ma ci sono diverse iniziative per il recupero delle varietà di salice e dei loro molteplici utilizzi1.
Mentre suddivido i rami di salice in base alla loro grandezza, ricordo spesso ur Dantìn, un operaio che viveva a Múrio, in un mónte vicino al mio. Nella sua triste infanzia aveva imparato il cestaio nell’Istituto Santa Maria di Pollegio e nel tempo libero intrecciava con piacere realizzando cesti e gerle. Più volte mi ha mostrato i rami di nocciolo, di salice e i giovani virgulti di castagno che sistemava in modo adeguato per poterli usare per i suoi intrecci. Eravamo d’accordo che mi avrebbe mostrato come faceva. Seppur molto curioso e interessato, non sono mai riuscito a trovare il tempo per passare da lui per quello scopo. Gli dicevo: – Forse la prossima estate … – Lui mi sorrideva con l’aria poco convinta e concludeva: – Mi som qui!
Ora mi rimane solo il ricordo. Lui non c’è più da molti anni. Non è sempre facile valutare sul momento le cose importanti della nostra esistenza: se potessimo vivere più vite, forse riusciremmo a dare priorità diverse al nostro fare, per vivere altre esperienze ed essere altre persone.
Intanto finisco di preparare i salici, ne preparo diversi mazzi, alcuni li regalo, altri li conservo all’umido perché poi chissà, forse durante l’estate… I rami più grossi li uso per legare la parte più legnosa della vigna ai pali, poi mano a mano affronto le parti più aeree e riduco anche la grossezza dei legacci. Se voglio che un tralcio rimanga ben fermo in un preciso punto attorciglio una volta il salice sul filo e poi lo lego con almeno due torsioni, rivoltando la base del rametto all’indietro e lo aggancio al filo, sotto pressione. Se invece il legaccio non deve essere bloccato in quel preciso punto, lo lego semplicemente evitando la prima parte.
Mio papà con i salici più grossi, dopo averli torti più volte e con attenzione preparava anche i róm, le cinghie delle gerle e dei cargànte, gerla a stecche rade usata specialmente per il trasporto del fieno. Usava anche i rami di betulla, pure molto flessibili, ma che si rompevano più facilmente. Ora ricordo con commozione quando mi raccontava di quando faceva la doccia dopo la partita di calcio a Baden, dove era stato mandato a 15 anni per l’apprendistato di elettromeccanico alla Brovn Boweri. I suoi compagni gli chiedevano stupiti cosa fossero quei segni sul corpo che scendevano lungo le spalle. Lui spiegava che aveva subito un’operazione clinica particolare: si vergognava a dire che erano i segni lasciati sul suo corpo dalle cinghie dei cargànte, non so se di salice o di betulla, ma sicuramente dovevano sostenere pesi troppo pesanti per un bambino, il ragazzino che era allora.
Maurizio Cerri, l’alberoteca
Gruppo di lavoro per la mappatura delle antiche varietà di alberi da frutto sul territorio di Lugano
1| In Svizzera vi è un tentativo di recuperare le varietà di salici e i loro numerosi usi. Attualmente, ProSpecieRara si occupa di salvaguardare fino a 29 varietà di salici, le quali possono rispondere a numerosissime esigenze in campo agricolo, dalle legature, alla costruzioni di recinzioni, alla produzioni di cesti. Il progetto è volto a preservare la loro versatilità coinvolgendo chi si vuole dedicare alla loro moltiplicazione in giardino.










