Dalla A alla Z, i nostri post dedicati alle piante più interessanti che incontriamo a Lugano, o nei dintorni. I testi sono scritti da botaniche e botanici professionisti o confezionati dalla redazione di Lugano al verde con la loro collaborazione.

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Arabis turrita

06.04.2017
Schede botaniche   Sentiero di Gandria

È uno dei primi fiori della primavera, sembra un'erbaccia piuttosto comune, ma il suo nome ricorda i lontani deserti dell'Arabia.

Lungo il Sentiero di Gandria, l’Arabis turrita L. è uno dei primi fiori a schiudersi a primavera. Non passa di certo inosservata con le rosette basali che sfidano gli ultimi freddi invernali, i fiori, relativamente grandi, dai petali color crema (lunghi dai 6 ai 10 mm) e il portamento eretto e longilineo. L’epiteto specifico deriva dal latino, turritus, ovvero guarnito di torri, mentre il genere Arabis ricorda invece la capacità di alcune specie di crescere su terreni aridi e sabbiosi, come i deserti dell’Arabia.
L’Arabis turrita appartiene alla vasta famiglia delle Brassicaceae, è una pianta bienne o perenne alta fino a 80 cm, spesso ramificata in alto, pubescente, ovvero ricoperta di una peluria densa e sottile, con peli ramificati a stella. È dotata di foglie basali lanceolate disposte in rosetta, attenuate alla base in un picciolo, irregolarmente dentate, e di foglie caulinari con base cordata che abbracciano il fusto con due orecchiette. L’infiorescenza si sviluppa, da marzo a giugno, in grappoli fogliosi e i frutti, molto caratteristici, sono costituiti da lunghissime silique (i baccelli delle Brassicaceae) che raggiungono anche i 15 cm, unilaterali e ricurve verso il basso. I semi alati sono dispersi dal vento, e infatti talvolta l’Arabis turrita si trova sui tetti piatti di Lugano, trasportata dalle pendici del Monte Brè dove abbonda.
Specie di origine mediterranea, amante dei terreni secchi e delle zone calde, l’Arabis turrita colonizza i boschi radi, i pendii sassosi e i bordi di strade e sentieri fino a 1600 metri di altitudine, di preferenza su terreni calcarei.

 

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Testo e foto: Nicola Schoenenberger